G. Marrone

Zoosemiotica 2.0.

Résumé

Semiotizzare l’animale – raccontarlo, dirlo, rappresentarlo, pensarlo, farne oggetto di scienza e di sapere –  è gestire una politica della soglia insicura : quella che lo separa, più o meno ostinatamente, dall’uomo. Ora garantendone un’autonomia supposta naturale, dunque apparentemente scevra da implicazioni etico-politiche. Ora subendo le continue incursioni, a più livelli e con differenti intensità, dell’animale-uomo. Definire l’animale è definire l’uomo, certo. Più interessante, invece, osservare come, spesso surrettiziamente, dare un posto all’animale fra i ‘regni’ della natura sia, parallelamente, inserirlo fra le articolazioni del sociale, fra le istituzioni della cultura (parentele, affetti e affiliazioni, strategie e conflitti…). In altre parole, farne oggetto di sapere è proporne una qualche visione, e prassi, politica. In questo, le attuali rivendicazioni ambientaliste, ecologiste e animaliste, come pure le ideologie ed etiche vegetariane e vegane, non hanno fatto altro che indicare il re nudo. Una politica degli animali c’è sempre stata : adesso diviene istanza dotata di portavoce precisi e assai determinati.

Non sfugge a questo chiasma la semiotica, che già dalle sue prime piste di ricerca inseriva la questione dei linguaggi delle differenti specie animali fra i suoi obiettivi fondazionali. Era la zoosemiotica, molto in voga negli anni Cinquanta e Sessanta ma felicemente in vita anche nei decenni successivi : la quale, per forza di cose, s’è trovata quasi automaticamente a sposare un paradigma di ricerca di tipo scientista e naturalista, provvedendo a tenere distinte le lingue degli umani (legate al dinamismo della storia e della cultura) da quelle dei non-umani (pensate come codici più o meno sofisticati di una comunicazione a carattere istintuale). Restava in piedi il vecchio monito di Montaigne, secondo il quale non è che gli animali non parlino, siamo semmai noi che non li comprendiamo poiché essi usano segni e non parole, segnali fisici dotati, forse, di sintassi non linguistiche.

Le recenti ricerche in ambito di antropologia della natura e di sociologia delle scienze e delle tecniche – incontratesi nell’ipotesi di un multinaturalismo talvolta ribattezzato come ontological turn – permettono di ripensare la questione zoosemiotica in modo diverso. Più che tentare di trapiantare le strutture delle lingue, e piuttosto di occuparsi di un presunto linguaggio naturale degli animali non umani, scommettendo su una loro coscienza riflessiva, sarebbe più conducente, per una semiotica come studio delle forme del senso umano e sociale, lavorare sul loro discorso, dunque sulle interazioni effettive, tanto comunicative e scientifiche quanto pratiche e funzionali, fra umani e non umani. I quali, volenti o nolenti, si costituiscono reciprocamente, andando costantemente a rivedere quella soglia insicura che, separandoli, li tiene insieme.

L’intervento proverà a investigare l’ipotesi di una zoosemiotica 2.0, lavorando su una analisi di alcuni studi recenti sul comportamento animale, alla luce delle recenti teorie antropologiche sulle culture animali e filosofiche sulle politiche dell’animalità.